Le mamme senza titolarità

Passata la festa della mamma ringrazio per quello che ho ricevuto. Non di implicito riconoscimento, ma di palese manifestazione che, sarà che sono tutte manifestazioni esterne, sarà che l’amore si vive giorno per giorno, ma, se il giorno della festa commerciale della mamma non ti arriva la tua bella rosa, il tuo bel biglietto di sdolcinato affetto, allora, ugualmente, qualcosa ti manca. È come se, pur sapendo che l’amore sta segreto e sedimentato nel più profondo dell’anima, ti mancasse qualcosa se non avesse la forza di eruttare fuori come un magma vivo in abbracci e coccole. Ora, forse, nella mia famiglia c’era un amore silente, c’era solidità e costanza, c’era rispondenza ai bisogni immediati, tante cose c’erano, ma abbracci pochi. Baci pochi, carezze poche. Poche di quella parte di amore che passa per le mani, le braccia e le labbra. Da piccola, spesso, avevo ragazze che mi facevano da baby sitter, neanche so bene perché. Mia madre lavorava in casa e l’Ernestina mi portava a spasso con la carrozzina di mio fratello davanti: lei era già molto vecchia. Qualcuna mi raccontava storie che mi facevano paura. Non posso certo dire che mia mamma fosse, come si dice, anaffettiva, certo circolava in casa una qualche rigidità e carenza di calore. Erano i tempi, era la famiglia matriarcale in cui dominava una vecchia rigida di fatica e di sofferenze con quelle schiene diritte e i grembiuli neri dai quali, poi, le generazioni successive sono scappate.

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