Il racconto del soggiorno di Marzio Conte fra Shetland, Orcadi ed Ebridi

Scozia, le isole del grande nord

di Marzio Conte

Milanese d’origine, ma residente a Novi dal 1990, dopo una vita di lavoro nel settore tessile – Snia Viscosa a Milano, Sandra Mell a Carpi e Moglia, Trussardi a Cognento e un’impresa in proprio a Reggiolo –, l’autore di questo articolo, appassionato di on the road (ha già attraversato l’Italia da Ancona all’Argentario e percorso le isole Lofoten, in Norvegia, sempre a piedi) ha trascorso un mese tra le Shetland, le Orcadi e le Ebridi, le isole settentrionali della Scozia. Questa è la prima di due puntate del suo resoconto di viaggio.

***

 

Sono le 13 del 18 ottobre, e sono seduto su una panchina della piccola e deserta stazione di Rolo in attesa del treno con cui farò il primo piccolo passo del mio viaggio alle isole Shetland, Orcadi, Ebridi e, forse,  Far Oer. Ho davanti una lunga cavalcata verso il Nord Europa: Verona, Monaco, Duesseldorf, Rotterdam, Hoek Van Holland, ferry, Harwick, Londra, Edimburgo, Aberdeen e finalmente altro ferry per Lerwick, capoluogo delle isole Shetland. Certamente questo tratto Rolo-Mantova è solo un piccolo passo rispetto a quello che mi attende, ma è fondamentale perché ogni viaggio, per quanto grande e importante, è iniziato con un primo piccolo passo. Molti sostengono che sia anche il più difficile, e forse hanno ragione: per farlo occorre superare sia la nostra congenita pigrizia, sia quell’oscuro timore dell’ignoto che alberga, nascosto ma presente, in tutti noi. Ma ormai il primo passo è fatto: sono in treno.

MERCOLEDI` 19 OTTOBRE

È’ l’una di notte, ho passato Monaco e sono sul treno per Duesseldorf:  il vagone si è trasformato in un bivacco: non è completamente pieno e quindi alcuni cercano un minimo di comodità allungandosi su più posti, con intrecci di gambe, teste appoggiate dove capita e giacche usate come coperta. Sono su una poltrona reclinabile singola, abbastanza comoda ma io sono abituato a dormire su un fianco, perciò non riesco a fare più di qualche breve pisolo. Arriviamo poco dopo le sei e il mio prossimo treno sarà alle nove. Nell’enorme stazione piena di negozi, soprattutto di alimentari, di ogni genere e dimensione, dal chiosco sulla banchina ai veri e propri market, mi infilo in uno Starbucks mescolato alla folla di studenti ed impiegati che già a questa ora lo affolla: evidentemente far colazione al bar accomuna l’agiato mondo occidentale. Dopo un quarto d`ora una fetta di ottima torta di mele galleggia nel mio stomaco sopra a due kleine (!) coffee cioè quel liquido caldo e scuro che i Tedeschi, e molti altri popoli europei, si ostinano a chiamare impropriamente caffè: ne avevo bevuto uno a un chioschetto appena sceso dal treno e un altro ora, quindi siamo a quasi un litro: inoltre non capisco perché ti chiedano sempre se lo vuoi lungo o corto, tanto il liquido è sempre lo stesso, cambia solo la quantità, che è comunque eccessiva. A onor del vero, in determinate occasioni questo liquido non mi dispiace, solo non accetto il nome di caffè dovrebbero trovargliene un altro (“estratto caldo”?, ”acqua scura”?) e non avrei nulla da ridire.

Ingoiate anche le cinque pillole mattutine che costituiscono il corollario quotidiano della mia colazione, e che spero servano davvero a mantenermi a lungo bello (difficile!) e sano, sono pronto ad affrontare la prosecuzione del viaggio, prossima meta Rotterdam. Ripartiamo e appena fuori dalla stazione realizzo che il tempo vuole abituarmi a quello che troverò in Scozia: foschia fitta e pioggerellina sottile sotto un cielo compatto di nuvole color cenere e, mentre fuori dal finestrino scorre monotona la campagna tedesca, comincio a pensare che le lenti da sole che mi sono avventatamente portato saranno inutili, per fortuna pesano poco! La carrozza è piena di studenti e impiegati, ognuno impegnato sul Pc o a leggere il giornale, ma alcune file più avanti un gruppetto di corpulente signore, dalla provenienza incerta perché parlano una lingua che a volte sembra spagnolo a volte slavo, infastidiscono l’intera carrozza con le loro risate sguaiate e rumorose. Il paesaggio continua a essere monotono, scuro e bagnato: campagna, alberi, casette o condomini quadrati tutti con finestre molto grandi, a volte come l’intera parete, e rigorosamente senza tende. Entriamo in Olanda ma non cambia molto, si aggiungono solamente un gran numero di canali, laghetti, piscine (cosa mai se ne faranno?) e naturalmente piste ciclabili. Dopo Utrecht il paesaggio diventa quello caratteristico olandese: ampi campi su cui spiccano, macchie bianche sul verde, i bovini al pascolo. A separare i campi, canali che il sole, finalmente apparso fra le nuvole bianche, fa luccicare. Cielo limpido ma ancora costellato da nubi residue, che restano come tacito monito, mentre stormi di uccelli, soprattutto anatre nella caratteristica formazione a freccia, volano alte nell’azzurro. Sono a Hoek Van Holland, sul grande canale che collega Rotterdam al Mare del Nord, in attesa che il traghetto Stena Hollandica parta, il tempo si è schiarito ed è apparso un limpido sole. All’uscita del canale un lungo molo sul quale si avventurano alcuni coraggiosi ciclisti, sfidando i marosi che di tanto in tanto lo sommergono: il mare è abbastanza mosso, gonfio e scuro e speriamo che il ferry sia in grado di tenere testa tranquillamente alla famigerata “onda lunga”. Arrivamo ad Harwick un po’ in ritardo e devo correre per prendere l’ultimo treno per Londra e da lì, dopo un rapido cambio di stazione, quello per Edinburgh ed Aberdeen.

 

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