Dagli scavi di Dall'Osso ai reperti ritrovati al furto di una Venere

Tutti i segreti della Savana

Là sotto ci sono sepolti almeno trentacinque secoli di storia carpigiana eppure, nonostante sia nota e studiata da più di cento anni, la “Savana” di Cibeno è ancora in larga parte un mistero tutto da esplorare. La Savana, così è stato ribattezzato dal nome del fondo agricolo su cui insiste, è un insediamento palafitticolo delle ultime fasi del periodo che gli archeologi definiscono "del bronzo medio e recente", orientativamente databile fra il quindicesimo ed il dodicesimo secolo prima dell'era volgare. In quel periodo i faraoni egiziani avevano esteso il loro impero dall'Etiopia alle rive dell'Eufrate, mentre i Micenei la facevano da padrone nel Mediterraneo fra le coste di Creta e le isole dell'Egeo. In quello stesso periodo, su un piccolo dosso che si elevava non più di quattro metri dal livello di campagna, una popolazione italica aveva preso possesso della Savana e vi aveva costruito sopra un villaggio che ebbe una vita lunga ma travagliata e discontinua. Su un argine rilevato del paleo alveo del Secchia (o forse del Tresinaro o del Crostolo, non lo sapremo forse mai) un gruppo di allevatori e di coltivatori dell'era del bronzo fondò un villaggio, a circa due chilometri ad ovest in linea d'aria da un altro paleoalveo su cui sorgerà in seguito il castello di Carpi. L'antico insediamento dell'età del bronzo venne abitato a lungo ma poi fu abbandonato e solo secoli dopo divenne di nuovo la sede di una villa rustica romana. Come sappiamo tutto questo? Grazie a scavi e studi di appassionati e di archeologi che, nel corso del novecento, riscoprirono la civiltà padana, sommersa nel corso dei secoli da alluvioni, percorsa da invasioni di più popoli, abbandonata a sè stessa negli anni bui del Medioevo.

In queste pagine ripercorriamo la storia della Savana di Cibeno attraverso le vicissitudini di Innocenzo Dall'Osso, il primo che effettuò scavi sistematici sul sito, e la testimonianza di Antenore Manicardi, appassionato carpigiano di archeologia ed Ispettore onorario della Soprintendenza archeologica dell’Emilia Romagna.

 

LA SFORTUNA DI DALL'OSSO

Era stato allievo di Giosuè Carducci, all'Università di Bologna, e amico di Giovanni Pascoli, due personaggi che hanno caratterizzato il novecento letterario italiano. Era stato anche allievo di Edoardo Bizio, paletnologo ed archeologo di fama, direttore del museo di Bologna. Aveva dunque tutte le carte in regola per una carriera accademica e professionale di successo, invece la vita di Innocenzo Dall'Osso, il primo esploratore della Savana di Cibeno si arenò proprio lì, nel suo primo scavo ufficiale e nella sua prima (e quasi unica) relazione scientifica da archeologo. Si, perché Innocenzo Dall'Osso, sull'entusiasmo di quanto ritrovato a Cibeno (carri e carri di materiali, ossa di animali, manufatti e frammenti di vasellame, tracce di pali e sovrastrutture rinvenuti nello scavo della terramara carpigiana) incappò nel giudizio severo, sarcastico e stroncante di una autorità dell'epoca. La relazione degli scavi di Dall'Osso, i primi dopo i ritrovamenti superficiali effettuati a Carpi da Arsenio Crespellani, altro pioniere dell'archeologia, pochi anni prima, apparve sulla rivista prestigiosa e specializzata Notizie degli scavi del 1899 ma fu subito criticata da Luigi Pigorini, massima espressione degli accademici dell'epoca, con una pubblicazione (Terramara Savana di Cibeno in provincia di Modena), uscita l'anno dopo, che rappresentava una stroncatura senza remissione per il nostro povero Dall'Osso. 

Scavo condotto con superficialità, conclusioni tratte con leggerezza, punti interrogativi non chiariti con sufficiente approfondimento critico, affermazioni non comprovate dalle risultanze stesse dello scavo: Luigi Pigorini non fece mancare nulla nella sua critica allo studio del Dall'Osso, a partire dall'ipotesi avanzata dallo scavatore che la Savana fosse un insediamento circolare mentre sino ad allora tutte le terramare scoperte avevano fatto registrare una forma quadrilatera, con un rivo d'acqua che entrava, a monte; nel fossato che circondava il villaggio e usciva a valle. Dall'Osso poi, che aveva ritrovato anche frammenti d'epoca romana nel suo scavo, aveva supposto una continuità di insediamento umano sul sito lungo duemila anni, ipotesi messa autorevolmente in ridicolo dal Pigorini. Il quale, seppure nella stroncatura aveva esagerato, aveva ragione su molte delle questioni sollevate. Sta di fatto che Innocenzo Dall'Osso, bersagliato anche da lettere anonime che ne mettevano in dubbio l'onestà non solo intellettuale, si vide relegare in un cantuccio e per molti anni. Trasferito a Napoli con ruoli subalterni, non si lasciò prendere dallo sconforto e continuò nella sua attività di archeologo nella campagna partenopea e anche a Pompei incappando, questa volta a Capri e non più a Carpi (l'assonanza non gli portò) bene, in altri guai: scavando sotto il Quisisana nell'isola di Capri (che appunto dipendeva dalla Soprintendenza di Napoli) scoprì altri importanti reperti di insediamenti preistorici ma, anche in questo caso, fu sopravanzato da altri colleghi ed emarginato. Alla fine, grazie alla sua pervicacia ma solo dopo che nel frattempo era morto il Pigorini (divenuto Senatore del Regno e cattedratico all'Università di Roma) riuscì a concludere la sua carriera come direttore del museo archeologico di Ancona che ancora oggi porta il suo nome. 

 

LA VENERE SCOMPARSA

Di misteri, il sito archeologico della Savana di Cibeno, ne conserva ancora parecchi. Nonostante il tempo trascorso, infatti, uno scavo completo e sistematico del sito archeologico non è stato ancora compiuto ed è solo dell'anno scorso il ritrovamento, poco distante dalla terramara, di alcune fornaci di epoca etrusca che testimoniano la presenza sul territorio carpigiano di insediamenti storicamente molto antichi e ancora tutti da approfondire. Fra il materiale rinvenuto alla Savana, per esempio, ci sono anche due pesi di arenaria associabili a unità di pesatura del mondo Miceneo, il ché apre nuovi orizzonti di esplorazione delle relazioni fra culture in epoche lontanissime fra luoghi dell'Europa lontanissimi gli uni dagli altri. Ma, se si vuole parlare di misteri, non si può non ricordare la vicenda della cosiddetta “Venere scomparsa” che ha appassionato anche le cronache cittadine di alcuni anni or sono. La scultura è in realtà una piccola testa, di Venere per i romani, di Afrodite per i greci, in marmo bianco a grana fine e non lucidato che un agricoltore aveva rinvenuto durante lavori sul fondo della Savana e, dopo qualche titubanza, l'aveva consegnata al Museo Civico a metà degli anni sessanta. Una testimonianza di vita in quella “villa rustica” d'epoca romana che già era stata segnalata dal Dall'Osso e della quale erano stati ritrovati altri testimoni: mattoni, ceramiche e monete, frammenti di sicura identificazione romana. Anche se la testina, secondo gli esperti non copia di alcun altro originale noto, appariva per le sue caratteristiche, ispirata da modelli scultorei greci in auge già nel IV secolo avanti Cristo e replicati sino oltre il primo secolo dopo Cristo. Quei dodici centimetri e mezzo di marmo lavorato non erano destinati, tuttavia, a fare mostra di sé a lungo al Museo Civico. Dopo essere stata protagonista di due mostre, nel 1974 e nel 1984, il prezioso reperto archeologico rimase confinato in Museo sino all'estate del 1988 quando misteriosamente scomparve. Rubata, senza dubbio, assieme ad altri reperti del Museo di cui nel corso degli anni si sono perse le tracce. Della “Venere della Savana”, mai più ritrovata, rimangono rare immagini e nero e una speranza; che prima o poi ritorni alla luce, come quella prima volta quando, smuovendo la terra, apparve al suo scopritore sulla motta della Savana.

 

GLI SCAVI ALLA SAVANA

Sono almeno sette le campagne di scavo e di rilevamento archeologico svolti sul sito della terramara di Cibeno. E, nonostante che non si sia ancora provveduto (e forse non lo si farà mai) ad uno scavo complessivo del sito che rappresenta uno dei più ampi insediamenti terramaricoli rinvenuti nella nostra area, molto è stato scoperto di quello che era il villaggio dell'età del bronzo e dei successivi insediamenti. Ce ne riassume la storia Antenore Manicardi che, almeno nella fase più recente, è stato anche uno dei protagonisti degli scavi.

«Le prime ricerche sul sito – afferma Manicardi – risalgono al 1888 e sono attribuite ad Arsenio Crespellani dopo che un certo Rossi, proprietario del terreno, aveva segnalato ritrovamenti superficiali di frammenti dopo l'effettuazione di scassi agricoli. Il primo scavo effettivo fu quello di Innocenzo Dall'Osso del 1898 che effettuò un ampio saggio sul lato sud del sito e rinvenne palificazioni e resti dell'età del bronzo. Solo una piccola parte dei materiali rinvenuti furono lasciati al Museo Civico di Carpi mentre la maggior parte venne portata a Roma, Bologna e Modena. Per quasi settant'anni non vennero più effettuati scavi alla Savana, sino al 1966 quando una campagna di scavi venne promossa da Benedetto Benedetti, allora direttore del Museo archeologico di Modena, ma a scavare sul campo fu la carpigiana Anna Maria Ori. Lo scavo era giustificato anche dal ritrovamento, in quegli anni, della testa della “Venere della Savana” da parte di Arturo Galletti, che venne depositata nel 1969 nel nostro museo carpigiano. Un'altra campagna di scavo venne effettuata da Giuliana Steffè nel 1980 per conto della Soprintendenza Archeologica dell'Emilia Romagna e, quattro anni dopo, i risultati degli scavi vennero proposti al grande pubblico con la mostra Ricerche archeologiche nel carpigiano (con il relativo catalogo), organizzata dal Gruppo Archeologico Carpigiano. In tale occasione Stefano Cremonini illustrò la propria teoria sull'evoluzione geomorfologica ed idrografica del territorio carpigiano individuando il dosso di Carpi e il dosso su cui sorge la Savana come paleoalvei del fiume Secchia o dei torrenti Tresinaro o Crostolo. Trascorrono altri otto anni prima che Andrea Cardarelli e Maurizio Cattani (nelle campagna di scavi 1992-93) conducano una sistematica serie di trivellazioni sul sito della Savana per realizzare un preciso microrilievo non solo dell'area abitata palafitticola ma anche dell'argine e del fossato che circondava la Terramara. E infine, nel 1997-98, io, Lucia Armentano, Giuseppe Cresta e altri abbiamo condotto una ulteriore esplorazione in concomitanza con l'espianto di una vigna sulla parte ovest della Savana, raccogliendo una notevole quantità di materiali ora in gran parte esposti nel nuovo allestimento del Museo della città».

Sin qui la cronaca.

Restano i misteri: non è stata ancora rinvenuta la necropoli, il luogo di sepoltura del villaggio palafitticolo, ipotizzabile come un campo di urne cinerarie come attestato in altre terramare coeve della nostra provincia.

Continuano invece ad affiorare resti etruschi lungo un asse che, partendo da Santa Croce, lambisce la Savana e si porta ancora più a nord. Le fornaci trovate a ridosso della futuribile rotonda di via Guastalla (ormai già rilevate, fotografate e ricoperte) potrebbero non essere gli unici indizi di insediamento lungo il futuro percorso del prolungamento della tangenziale che da sud a nord si vuole realizzare parallelamente a quella intitolata allo scomparso sindaco Bruno Losi. Con la possibilità di ulteriori rinvenimenti e la necessità di ulteriori controlli archeologici in corso d’opera. E col pericolo di ulteriori stop ai lavori per quel tratto di tangenziale che, per essere sinceri, nemmeno sono stati ancora avviati.

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