Le Primarie del 30 aprile portano a una trasfigurazione antropologica del Pd

Vince Renzi e il Pd cambia pelle

E' finito il tempo del partito con la maggioranza assoluta. Da un lkato perde attrattività. Dall0'altro il potere si sposta verso Morelli, Santi, Tosi e Campedelli, renziani dell'ultima ora.

Sono andate come l’altra volta, le Primarie del Pd in città per l’elezione del Segretario nazionale del partito. Ancora meglio, anzi, per Matteo Renzi, visto che è salito al 76,3 per cento, contro il 73,2 che ottenne nel 2013 nella sfida con Gianni Cuperlo e Pippo Civati. La differenza rispetto a quattro anni fa, però, è che i votanti si sono dimezzati: 4 mila 611 contro 8 mila 610. Visto l’esito scontato (Renzi è andato anche oltre il 68 per cento registrato fra gli iscritti) è questo forse il dato più rilevante. Il mondo Pd, per quanto si sia eretto a difesa del Segretario con una imperiosa reazione d’orgoglio nei confronti della dirigenza post Pci che ha deciso di andarsene (D’Alema, Bersani, Errani, per intenderci), dimostra di aver perduto attrattività anche a Carpi. Ed è il minimo che potesse accadere, dopo tre anni – quelli coincisi proprio con il governo Renzi – di una durissima lotta interna che in certi momenti, prima di sfociare nello sbocco naturale della scissione, aveva assunto toni da scontro non tra differenti opinioni, ma addirittura tra due diversi partiti.

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La prima impressione che se ne ricava è che, in vista delle prossime Politiche (che qualcuno ritiene imminenti, per la volontà di Renzi di ritornare quanto prima a palazzo Chigi) e delle Amministrative del 2019, il Pd non possa più pensare di rappresentare in città il partito della maggioranza assoluta. Continuerà probabilmente a essere il maggior partito, e si vedrà dalle Politiche; ma per il governo cittadino avrà sempre più bisogno di alleanze politiche contrattate e non di semplici liste fiancheggiatrici per evitare il ballottaggio e, nel caso non ci riuscisse, per vincerlo.

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La seconda lezione che viene dall’esito delle Primarie è che sotto la bandiera del trionfante Matteo Renzi scalpita e sgomita ora un folto gruppo di figure che hanno per la maggior parte legato alla politica vita, carriera, professione e stipendi. E che sono diventati una folla, rispetto al solitario Roberto Arletti, bistrattato ed emarginato renziano della prima ora, domenica scorsa respinto perfino al seggio delle Primarie in quanto consigliere di un gruppo consiliare (il Gruppo misto che ha dovuto fondare per disaccordi sulla questione Aimag) diverso da quello del Pd. Lui, Arletti, si ritrova ora in fondo alla fila dei renziani dell’ultima ora, al pari di un renziano precoce come è stato Giuseppe Schena, presidente della Fondazione Cassa Risparmio Carpi: un altro al quale non ha detto bene la vicenda Aimag, dopo la bocciatura del suo progetto di concambio azionario con Hera, proprio per mano di renziani come lui, ma di ore più recenti, come Simone Morelli, al quale le Primarie hanno consegnato anche l’elezione all’Assemblea nazionale del Pd, ed Enrico Campedelli, consigliere regionale che intorno alla vicenda Aimag ha compiuto una giravolta attenuatrice di scelte precedenti.

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