La scomparsa a 86 anni di Nino Santachiara, bandiera del socialismo a Carpi

Via con lui la politica del '900

È spirato all’alba del 3 aprile al Ramazzini all’età di 86 anni, senza aver ripreso conoscenza dall’ictus che lo aveva colpito la sera prima. Nino Santachiara se n’è andato esattamente come avrebbe sempre desiderato: molto più che autosufficiente, ancora in perfetta forma come hanno ripetuto, nelle ore seguite alla notizia, le persone che lo conoscevano, esprimendo l’incredulità di fronte a una morte improvvisa con una delle frasi più classiche della gergalità e della narrazione capense: “Ma come? Era lì, come lo sto dicendo adesso, l’ho visto proprio ieri mattina che stava bene…”. Ne sorriderebbe lui per primo, che con gli alti e bassi delle cronache cittadine – era fra l’altro anche giornalista pubblicista con oltre 50 anni di onorato servizio alle spalle – aveva una familiarità e una curiosità uniche, complice e sorridente, anche se al piano sottostante a quello, per lui infinitamente più nobile, della politica.  Già, la politica. Le ha dedicato quasi settanta dei suoi anni, se prendiamo a riferimento la foto leggendaria che lo immortala, estasiato, a contemplare Pietro Nenni sulla terrazza del Castello in un comizio del 1949. Quasi settant’anni nella politica e con il Partito socialista italiano del quale ha tenuta ostinatamente accesa anche l’ultima fiammella, a Carpi, utilizzandone fino alla fine la carta intestata che riempiva invariabilmente con una anacronistica macchina da scrivere o con la sua scrittura affidata all’inesauribile inchiostro verde della sua stilografica. Per il Partito del quale aveva attraversato tutte le ere, da Nenni a De Martino, acquartierandosi nella minoranza di Lombardi dopo il golpe del Mida’s di Craxi e ritornando in maggioranza con Boselli, Santachiara era stato una trincea. Eretta a tutela, insieme, del Psi, certo, ma anche del circolo culturale Filippo Turati e della ultracentenaria testata Luce, “gazzetta democratica” fondata da Alfredo Bertesi, da lui riesumata e rilanciata. Il tracciato della sua azione politica, coltivato gelosamente, si riassumeva in una sorta di ossimoro: alleato nell’autonomia, vicino nella distanza, avendo sempre a riferimento soprattutto il Pci. Al quale, nei 15 anni da consigliere comunale e nei 12 anni da assessore a Carpi, oltre che nella sua legislatura da assessore provinciale, non ha mai fatto mancare ripetute minacce di dimissioni e conseguenti crisi di Giunta. Erano sempre l’effetto di una sua visione dell’agire politico più laica e disincantata, spregiudicata, estemporanea, meno filtrata dagli apparati sovietizzanti dell’impegnativo alleato e nella quale si scorgevano le origini stesse delle differenze storiche a antropologiche tra i due partiti, uno dei quali, il suo, con le radici nella città e l’altro, il Pci, nella campagna. Non ci sarà facile scordarne l’approccio accigliato e severo degli ultimi tempi alla politica locale, il suo ostinato tentativo di dare un senso a fatti, personalità e comportamenti che con la politica come l’aveva conosciuta lui non hanno più niente a che spartire. E di sicuro, come figli della Prima Repubblica, d’ora in poi ci sentiremo più soli. 

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