E' uscito La scelta giusta autobiografia pubblica di Rossano Bellelli

Mai troppo distante dal potere

Dev’essere un impulso irresistibile  quello che, oltrepassata una  certa soglia di età, induce a tirare le  somme e a rappresentare pubblicamente  il bilancio della propria esistenza.  A differenza tuttavia di Marcel  Proust e della sua Recherche, il  tempo perduto e poi ritrovato e raccontato  in questa fine d'anno 2017  prima da Werther Cigarini con la  sua “Carpigrad” e ora da Rossano  Bellelli con “La scelta giusta: mezzo  secolo di storia politica, di giornali e  televisioni, di banche & banchieri”  (Artestampa Modena 2017, 192 pagine,  23 euro) è un tempo che niente  ha dell’intimo, del chiaroscurale  e del finemente psicologico e descrittivo  – oltre che dello stile letterario,  ovviamente – del romanziere  d’Oltralpe, ma è tutto rappresentato  sulla scena pubblica. Strettamente  locale, nel caso di Cigarini; ai piani  alti, della politica, dei media e del sistema  bancario, invece, per Bellelli.  La differenza tra le due biografie  sta nelle scelte politiche.  Quella comunista e post comunista  di Cigarini, vincente nel  locale, ma sostanzialmente esclusa  da percorsi più vasti e ambiziosi. E  l’altra, quella di Bellelli, beneficiata  dall’appartenenza alla galassia  democristiana e comunque da una  permanente prossimità al potere,  garante della certezza che da lì c’è  sempre qualcuno che ti chiama, ti  invita, ti apre una strada, offrendoti  occasioni e opportunità.  Quello che accomuna, invece,  i due racconti, oltre alla profonda  radice di entrambi nei tempi della  Prima Repubblica, è la voglia di dire  ancora la propria su fatti e persone  di strettissima attualità, come a dimostrare  di aver avuto ragione sulla  Storia. Avallando così il sospetto  che al fondo della scelta di affidare  alle pagine di un libro le rispettive  esistenze ci sia proprio questo: conferire  lo spessore e l’autorevolezza di  un solido passato alle convinzioni  del presente.  Detto delle “convergenze parallele”  di Cigarini e Bellelli, è del libro  di quest’ultimo che ci occupiamo  qui, anche in vista della imminente,  pubblica presentazione fissata  per le 20,30 di lunedì 11 dicembre  all’auditorium Loria, con un’intervista  all’autore da parte di Leo Turrini  che proprio a lui deve l’avvio di  una brillante carriera giornalistica.  Si direbbe che Bellelli il libro lo  abbia scritto nel nome del padre, di  quella “scelta giusta” che Arduino  Bellelli compì nel tragico campo  di concentramento tedesco di Rothenbach  – dov’era finito con migliaia  di altri soldati italiani dopo  l’8 settembre – affidandola a una  lettera alla moglie per spiegarle perché  avesse rifiutato l’arruolamento  nei ranghi della Repubblica sociale  che, pure, gli avrebbe permesso il  ritorno a casa.  La “scelta giusta” del titolo, dunque,  parrebbe come riverberarsi sulle  tante altre scelte che hanno scandito  la vita dell’autore. Quella che  più ci pare parli di lui è la militanza  nella Democrazia cristiana, connotato  antropologico inconfondibile  del Rossano Bellelli di ieri, di oggi  e certamente di domani, impresso  nel suo stesso essere al di là dei  tempi, delle sigle, delle vicissitudini  storiche e di tutte le successive  appartenenze. Non è ben chiaro il  motivo per il quale abbia titolato  “Perché la Democrazia cristiana?”  il racconto di quella prima scelta.  Intanto, perché non lo spiega. Complice  infatti un casuale comizio da  adolescente affrontato a Gargallo al  posto del relatore del partito, Bellelli  non entrò nella Dc, ma parrebbe esservi  aggallato (nel senso di venuto  a galla, affiorato) per naturale predestinazione.  Hai un bel cercare idealità, aspirazioni  adolescenziali, sogni utopici:  quelli li accenna nell’Introduzione:  “Partito di cattolici, ma anche partito  dei moderati (…) volontà di impegnarmi  nel sociale”. Fine. Ma poi  furono subito Flaminio Piccoli e i  dorotei e poi l’onorevole Franco Bortolani  e poi l’elezione a consigliere  regionale con 15 mila preferenze nel  1975. E fu soprattutto Giulio Andreotti,  al quale Bellelli dedica una delle  parti più succose del libro, decisamente  orientata a difendere le scelte  politiche del Divo Giulio, a metterlo  al riparo dall’accusa di concorso in  associazione mafiosa, individuando  i “mandanti” di quell’accusa in Luciano  Violante e Gian Carlo Caselli,  inclusi anche fra i maggiori avversatori  di Giovanni Falcone.  Il mezzo secolo di storia politica  di Rossano Bellelli riserva spazio a  un’altra figura di riferimento della  sua biografia pubblica: Renato Crotti  con la sua “testarda avventura”  per l’affermazione di una cultura  liberale e liberista in un paese che  non l’ha mai capita o accettata, né  dal versante comunista né da quello  democristiano e dei rispettivi succedanei.  E, dopo un excursus sulle  origini delle fortune di Silvio Berlusconi  all’insegna del “io lo conoscevo  bene”, si conclude con un paragrafo  dedicato a Renzi, che “…ha il  diritto e il dovere di andare avanti”  e che rappresenta l’attuale orizzonte  politico dell’autore.  

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