Lo storytelling di Marc'Antonio Vezzani a Correggio dedicato a una generazione

I ragazzi degli anni Settanta

Il raccontoi di un'epoca, ambientatoi a Correggio. E a Carpi il Settantasette divise i giovani in due piazze e in due antropologie

Vanno gli anni Settanta.  Nel senso del quarantesimo  anniversario di un decennio  ricco, intenso e contraddittorio.  E culla degli anni più  belli (adolescenza e giovinezza)  della generazione  nata e cresciuta nei fifties,  quegli anni Cinquanta che  poco a poco decretarono la  fine del dopoguerra e l’avvio  di un’Italia vispa, intraprendente,  consumista e miracolata,  comunque diversa da  quella in bianco e nero del  cinema neorealista.  E chissà, potrebbero essere  di moda, gli anni Settanta,  perché la generazione che ci  visse i propri anni migliori, è quella  dei 60enni ora al potere e che fanno  opinione.  Comunque sia, è dai ventenni di  un tempo considerato dall’angolo  di visuale della provincia emiliana,  che ha preso le mosse lo storytelling  presentato da Marc’Antonio  Vezzani, per il terzo appuntamento  con questo straordinario medico  narratore (specialista di Ginecologia  e Ostetricia, originario di Correggio  e residente a Carpi, è responsabile  del progetto Endometria per  l’Area Nord dell’Ausl di Modena),  capace – con la collaborazione di  Guido Caffagni – di combinare parole,  immagini e scelta musicale in  racconti che sono gioielli di comunicazione.  Per la loro spettacolarità  multimediale e di montaggio, certo,  ma anche per la profondità delle annotazioni  psicologiche che ne fanno  dei frammenti di buona letteratura,  in grado di far capire, per esempio,  la meravigliosa storia della procreazione  o la parabola dell’amore,  come è avvenuto per i due precedenti  racconti, o di cogliere i connotati  di costume di un’epoca e di  una generazione, come per la serata  dal titolo “Mi ritorni in mente: noi, i  ragazzi degli anni Settanta” proposta  unitariamente il 9 marzo scorso  all’Hotel President di Correggio dai  Lions Club “Antonio Allegri”, Carpi  Host e Alberto Pio di Carpi e dal  Distretto lionistico 108Tb.  Dal baule dei propri ricordi,  Vezzani ha estratto poco a poco  vedute di una Correggio splendidamente  fotografata da Aldino  Manzotti, le immagini di gruppi di ragazzi di quel periodo, la ricchissima  colonna sonora, dai Beatles ai  Deep Purple, passando per i Rokes  e arrivando alle band locali nella  documentazione di un sound “…che  dall’America arrivava fino a Borgo  Vecchio”, per conferire a Correggio,  nel segno di Jimi Hendrix e dello  strumento simbolo di quel tempo,  la chitarra, il titolo di “Seattle italiana”.  Su quello sfondo, alimentato  anche dal consumismo crescente,  ma non ancora aggressivo, di Carosello,  con i personaggi e gli slogan  che hanno fatto la storia della Tv e  di prodotti di cui ora a malapena si  conserva il ricordo, su quello sfondo,  si diceva, il narratore ha ritagliato  le storie, i ritratti psicologici  dei “tipi” che costituivano il popolo  dei ragazzi degli anni Settanta:  il sognatore, il musicista (“Quello  per il quale Correggio era solo un  paese a 7 mila chilometri a est di  Woodstock”), il play boy, lo studente  politicizzato, lo sfigato, il motociclista,  l’imprenditore, il contadino,  lo spaccone… “E mio cugino”, ha  completato Vezzani, promettendo  una successiva descrizione.  Ognuno di loro ha fornito la  chiave per allestire un percorso descrittivo  di quegli anni, con i luoghi  nei quali caratteri, comportamenti  e psicologie si incrociavano e si confrontavano  – il bar e il barbiere – e i  tratti sottostanti a molti di quei tipi:  il provincialismo che alimentava  una voglia di fuga nel mondo immancabile  come i puntuali ritorni;  l’estate come stagione di tutte le  libertà; le mode; la passione per i  motori; la politica come autentica  aspirazione al sociale, alimentata  dai miti del Vietnam, vissuta come  scontro generazionale quando non  deflagrata negli anni di piombo,  però in altre parti del Paese e vista  da lontano, “…perché in provincia,  fra neri e rossi, tutto sommato si  conviveva”.  E soprattutto le ragazze, presenza  inamovibile, oggetto di desiderio  permanente quanto frustrante,  identificate con le “magre” che andavano  al tempo, ma senza disdegnare  le “burrose”, mentre “l’amore  – si diceva nei bar – è un’esigenza  e la fede un paravento”. Sempre dai  bar dei ragazzi degli anni Settanta  a Correggio, dov’era facile che, nel  mix di studenti, imprenditori, spacconi,  play boy, eccetera, i discorsi  scivolassero dalle altezze filosofiche  dell’etica a più prosaiche considerazioni  sull’anatomia femminile,  proviene la frase di uno di loro che  scolpì per sempre i connotati della  generazione: “Dovendo mettercela,  la morale, mettiamola là” (questa  non l’ha ricordata Vezzani, ma appartiene  a uno che al tempo poteva  rientrare nel tipo dell’imprenditore).  Una generazione contraddistinta  dall’adrenalina, l’ha definita  Vezzani: “…pervasa dall’amore per  il sogno, l’avventura, la lotta, la rivolta,  la curiosità. Ci siamo presi  il monopolio della gioventù – ha  aggiunto – e cercavamo solo il significato  del vivere senza pensare  alla vecchiaia. Scoprendo poi nel  tempo che dentro ogni vecchio c’è  un giovane che si chiede che cosa  diavolo sia accaduto”.  La meglio gioventù? si è chiesta  la voce narrante, dopo aver avvolto  di qualche tono crepuscolare il  racconto delle scelte di vita effettive  dei “tipi” descritti. «No – si è  risposto Vezzani –, ammesso che  ve ne sia una. Era solo la nostra,  di gioventù». Già e il cugino? Era il  saggio che consigliava, ha spiegato,  che diceva: studia, sacrificati, non  uscire la sera, non correre dietro le  ragazze, cercati un lavoro. Il cugino  in realtà non è mai esistito, era  solo la voce interiore, quella dell’ordine  e dell’autodisciplina. «Ma se  lo avessi ascoltato – ha concluso  Vezzani – che cosa avrei avuto da  raccontare?».   

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