Assessorato ai Servizi culturali cancellato ricordo delle origini

La presa della cultura 2

Prosegue il racconto delle origini e dello sviluppo di una struttura amministrativa del Comune di Carpi, l’Assessorato ai Servizi culturali, Sport e Tempo libero, che dopo più di quarant’anni, è stata cancellata e  dalla creazione del settore InCarpi.

Un archeologo per la cultura

Venne trovato, il Laureato, richiamandolo dal Sannio, dov’era alle prese con scavi archeologici legati alla sua specializzazione di laurea in Lettere classiche. Si chiamava  Ignazio Contri. Intellettuale vivace e poliedrico di solida formazione umanistica, discendente di una illustre famiglia originaria della montagna e trasferita a Novi, ex seminarista, Contri rappresentava per il Partito comunista che amministrava il Comune la figura ideale per intessere un dialogo con quel poco di intellettualità cittadina, per lo più insediata nelle scuole superiori, ma anche con qualche esponente delle professioni, che si interessava delle sorti degli istituti e cominciava a prender parte alla loro gestione attraverso le Commissioni consultive. I nomi, qualcuno anche proveniente dalla Commissione di Storia Patria, erano quelli di Alfonso Prandi, Ottorino Savani, Giacomo Beltrami, Antonio Martinelli, Romano Pelloni, Antonio Gelli, Alberto Cottafavi, Norberto Beltrami. Per lo più designati dai partiti, godevano peraltro di un alto grado di autonomia, legato soprattutto al sostanziale disinteresse della politica per la materia, se si escludono i casi di Per Giuseppe Levoni (Dc) e Benito Benetti (Psdi) consapevoli invece della sua importanza. Pur con i forti intenti innovativi che la caratterizzavano, la nuova struttura amministrativa non si staccava tuttavia da una condizione di precarietà. La si coglieva soprattutto da due dettagli. Il primo era la sede che, anziché nel cuore degli istituti che avrebbe dovuto governare, in Castello, venne sistemata in via Sergio Manicardi, uffici fra gli altri uffici comunali. Il secondo era la condizione di precarietà del Laureato, il cui posto non era ancora stato inserito in organico. L’apparato si ritrovava dunque, paradossalmente, con personale di ruolo diretto da un responsabile precario, incaricato per lunghi periodi, ma sempre a scadenza e prorogato. E fu proprio con l'intento di dare stabilità a quella posizione e, con essa, all'Assessorato, che Campedelli prese la decisione di forzare gli assetti dirigenziali, inventando e mettendo a concorso per l’anno 1974 un posto da Capo servizio ai Servizi culturali, Sport e Tempo libero, “il laureato al quale affidare tutto” che, venendo dopo Contri, chiameremo il Laureato Due.

La politica culturale

In che cosa consisteva la politica culturale che da Bologna avrebbe dovuto essere un po' trasmessa e un po' prescritta agli enti locali emiliani? Il corso regionale per operatori culturali che prese avvio nel 1973 era di fatto un'emanazione dell'Istituto per i Beni culturali della Regione, ancora in gestazione ma che sarebbe stato fondato l’anno successivo. Era ospitato negli ambienti della Pinacoteca nazionale di Bologna e lo dirigeva lo stesso Soprintendente ai Beni artistici e storici della Regione per le province di Bologna, Ferrara e Ravenna, Andrea Emiliani, con il supporto di Giuseppe Guglielmi, bibliotecario e direttore del Consorzio provinciale di pubblica lettura di Bologna. Li affiancava, per il settore archivistico, Nazareno Pisauri, anche lui proveniente dall'Istituto per i Beni culturali di cui sarebbe diventato più tardi direttore. Questi e altri nomi di docenti – come Pier Luigi Cervellati per l'architettura e l'urbanistica, Lucio Gambi, per la geografia storica, Aldo D'Alfonso per il turismo, Matilde Callari-Galli per l'antropologia, Giovanni Losavio per la legislazione dei beni culturali – questi nomi, si diceva, evidenziavano l'asse culturale intorno al quale si intendevano formare i futuri operatori. Un asse di totale apertura all'utenza dei patrimoni librari, con il superamento del vecchio ordinamenti scaffale/palchetto per approdare agli scaffali aperti e al metodo Dewey; di microfilmatura dei documenti degli archivi (il digitale era ancora di là da venire); di approccio officinale ai patrimoni artistici locali, senza più gerarchie estetiche, ma considerati come espressione della cultura e dell'artigianato dei territori e come tali da tutelare e conservare nei luoghi d'origine; di una storiografia locale da rilanciare, ricalcandola su quella delle francesi Annales, legata più alla comprensione delle strutture (le vie di comunicazione, i mercati e i commerci, la conformazione delle città, le tecniche) che agli avvenimenti; del recupero dei centri storici, non ancora scontato come conquista culturale come lo è oggi... Erano tutti docenti, chi più chi meno, di area Pci, qualcuno, come Emiliani, più vicino al Psi, qualcun altro, come Losavio, al di sopra degli schieramenti e altri ancora, come Pisauri, più a sinistra. Ma insieme, per quanto poco durò quel corso, seppero rappresentare un approccio originale e per niente accademico alla cultura, come si confaceva, del resto, ai futuri dirigenti di istituzioni culturali dei Comuni.

 

 

L'accesso è riservato agli Abbonati

Se sei già abbonato, accedi per vedere l'articolo completo

Accedi

Accesso completo al sito, più l'
abbonamento digitale annuale

Vi permette di accedere a tutti i contenuti web di VOCE.it e di ricevere la newsletter quotidiana VoceCittà con le notizie del giorno, Voce settimanale digitale e Voce mensile digitale di approfondimento, direttamente al vostro indirizzo mail. Costo Annuo 29€
Abbonati