Se il retail soffre

L’e-commerce spinge alla chiusura di negozi e centri commerciali, ma Carpi resiste

Si abbassano le saracinesche e si accendono i monitor. Già da tempo l’e-commerce ha iniziato a influire negativamente sui punti vendita tradizionali, colpiti da una crisi che non accenna a placarsi. Negli Stati Uniti l’hanno definita una vera e propria retail apocalypse che riflette la problematica situazione in cui versa il settore: centinaia di negozi, soprattutto nei centri commerciali, stanno chiudendo senza soluzione di continuità.

 

La rivista online Business Insider Italia qualche giorno fa ha dedicato un ampio servizio all’argomento. “Tutte le grandi catene a stelle e strisce sono impegnate nel rivedere le loro strategie di azione – si legge – confrontandosi con la spietata concorrenza del commercio online e con nuovi consumatori (i Millennials) sempre meno presenti nei grandi mall e sempre più avvezzi a comprare in rete”.

Secondo Business Insider, nei prossimi mesi saranno 3 mila 500 i negozi a chiudere negli Stati Uniti, molti dei quali fanno parte di grandi catene come “Bebe”, specializzata in abbigliamento femminile che rinuncerà ai suoi 170 punti vendita per passare direttamente all’online e “JC Penney”, importante catena di grandi magazzini che sta chiudendo tutti i suoi negozi costosi e in posizioni sfavorevoli. Anche Macy’s, storico mall simbolo dello shopping medioalto, è stato travolto da un significativo processo di ristrutturazione che porterà alla chiusura di cento location (pari al 15 per cento del totale). A non passarsela bene però sono anche catene pop come American Apparel, Abercrombie&Fitch, Gap o Banana Republic.

Perfino il colosso svedese dello shopping low cost H&M, che sembrava inaffondabile, sta eliminando alcuni punti vendita: in Italia ne ha recentemente chiusi quattro tra Milano, Cremona e Venezia. 

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