Valerio Pozzi dalla campagna al master in Bocconi e alla guida dell'ex Italcarni

Il manager venuto dalla terra

Bresciano, è anche autore di un romanzo che pone al centro il ritorno al mondo agricolo.

«E’ un romanzo dove c’entrano l’agricoltura, l’ambiente e l’amore. L’amore è tante cose, nella vita di ciascuno di noi, può diventare anche passione per il lavoro, passione per la terra» e, aggiungiamo, per tutto quello che la terra significa: identità, radicamento, storia, tradizione e cultura. Che è molto di quel che c’è in Valerio Pozzi, 46 anni, direttore generale del più grande macello di suini d’Italia qual è diventato lo stabilimento ex Italcarni di via Guastalla.

 

Uno parte per fare la conoscenza di questo manager concreto ed efficiente, che in tre anni è stato capace di portare uno dei cardini dell’economia locale dalla condizione di fallimento e liquidazione coatta a una produzione di un milione e mezzo di capi macellati all’anno, con 300 milioni di fatturato e 550 dipendenti di ben 22 nazionalità diverse, per la stragrande maggioranza residenti fra Carpi e dintorni. E finisce per scoprire l’autore del romanzo “Prestige” edito da Sometti (Mantova 2015, 288 pagine, 13 euro), storia parallela di due che abbandonano le rispettive professioni per riscoprire l’agricoltuta e la terra “custode di valori e tradizioni dimenticate in una vita non vissuta”.

 

Di terra e di agricoltura, Valerio Pozzi, bresciano («Ma a Brescia ormai ci vado solo a dormire»), sposato, una figlia, laurea in Scienze Politiche e master in Economia alla Bocconi, si occupa anche da collaboratore del Giornale di Brescia e dell’Informatore agrario per temi di attualità legati all’economia agricola. Dal 2015, da quando cioè nella lunga e dolorosa vertenza Italcarni cominciata nel 2010 si è intravista una via d’uscita nell’affitto dello stabilimento e nel riavvio della produzione da parte della società agricola cooperativa Opas di Mantova, Valerio Pozzi ha trasferito la propria esistenza in via Guastalla, a Carpi, dove ha sede anche il quartier generale della cooperativa che conta 120 soci allevatori, uno dei quali, Alberto Cavagnini, anche lui bresciano, 41 anni, ne è il Presidente, con un Vice di Reggiolo, Lorenzo Fontanesi.

 

Direttore anche di Opas da 8 anni, Pozzi è fra coloro che hanno guidato la progressiva trasformazione della cooperativa costituita fra allevatori nel 1999 prima in soggetto commerciale e ora, con l’affitto dello stabilimento da 25 mila metri quadrati coperti di Carpi, anche in azienda di macellazione che vende il 23 per cento delle carni suine prodotte alla grande distribuzione (“Tutte quelle che vede nei banchi frigo delle coop vengono da qui”), il 5 per cento all’estero e il 70 per cento alle industrie di trasformazione che ne ricavano salumi, prosciutti, precotti, e così via : «Qui – spiega – abbiamo rimesso in piedi un indotto di aziende di servizio che vale non meno di 900 milioni e investito in tecnologie d’avanguardia per uno stabilimento modello dove si chiude un ciclo produttivo che parte da allevamenti compresi tra Lombardia, Emilia e Veneto, rigorosamente biologici, rispettosi del benessere animale e dai quali proviene una materia prima di origine italiana, di assoluta tracciabilità, basata su alimentazione in prevalenza vegetale, senza antibiotici. In una parola, di ottima qualità. Non si lavora con Barilla, cui forniamo la carne per i sughi pronti, se non si possiedono questi requisiti. Da qui prenderà le mosse a ottobre l’ulteriore passaggio deciso da Opas: l’inaugurazione di una linea di quarta gamma, di hamburger, salsicce, fettine, polpette, precotti con un nostro marchio…»

 

Si vede che l’aria di Carpi dà di questi stimoli: anche la maglieria e la confezione fatte qui, a un certo punto, si sono stancate del conto terzi che le faceva sparire sotto marchi altrui e hanno deciso di vendere anche in proprio con i loro marchi.

«Il parallelo mi piace: è esattamente lo stesso tipo di scelta strategica»

 

In quel caso, però, la base produttiva si è poi spostata altrove e la città laboratorio è sparita…

«Il che è ben difficile possa accadere con prodotti derivati dall’agricoltura e dagli allevamenti che hanno ben saldi i piedi sul territorio d’origine e nessuno può spostarli da lì»

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