Il Comune di Campogalliano intitolerà la Biblioteca a Edmondo Berselli

Esploratore del nostro tempo

 

di Fabrizio Stermieri

 

Si può essere “intellettuali” nascendo non solo a San Pietroburgo, a Parigi o a Roma, ma semplicemente a Campogalliano, studiando a Campogalliano, vivendo parte della propria vita a Campogalliano. Non si può essere intellettuali però, se si prescinde da una sana curiosità “intellettuale”, dalla voglia di abbeverarsi alle fonti della cultura che non ha una sede fissa ma che si respira nell'aria, nelle vie di Bologna che ospitano l'Alma Mater Studiorum (l'Università bolognese), come nei circoli culturali fumosi della bassa o in quelli elitari della stampa di Milano e Roma, nelle biblioteche in giro per il mondo, nei bar, nei salotti e nelle stanze in cui si elaborano teorie politiche, si ipotizzano scenari economici, si fantastica e si fa anche dell'ironia su quello che siamo e su quello che saremo. Edmondo Berselli, nato a Campogalliano 65 anni orsono (e purtroppo prematuramente scomparso nel 2010) era certamente un “intellettuale” in questo senso. Scrittore, giornalista, saggista ed editorialista, è stato per un trentennio protagonista del mondo culturale italiano, prima dalla sua autorevole poltrona di direttore editoriale della prestigiosa casa editrice il Mulino di Bologna e poi dalle colonne di opinionista delle maggiori testate giornalistiche: il Resto del Carlino, il Messaggero, la Stampa, il Sole 24 ore e, infine, la Repubblica. La sua Campogalliano gli intitolerà sabato 3 dicembre, la propria biblioteca civica, un omaggio postumo doveroso a chi, come lui, pur vivendo la sua professione in giro per l'Italia, non aveva mai rinunciato a mantenere ferma famiglia e residenza proprio nel suo paese natale. E la dedicazione all'intellettuale Edmondo Berselli proprio di una biblioteca appare un giusto omaggio a chi del libro e della carta stampata è stato un acceso fautore e un deciso e innamorato sostenitore.

Fin dalle prime collaborazioni con la Gazzetta di Modena alla quale fu chiamato da Pier Vittorio Marvasi, fin dalla sua esperienza editoriale al Mulino, Berselli è stato profondo estimatore del libro e della parola stampata, non solo quale mezzo indispensabile per trasmettere la cultura e l'eredità del passato ma anche e soprattutto come strumento per criticare il presente e progettare il futuro.

“Post Italiani”, uno dei suoi primi saggi, edito nel 2003, ha come sottotitolo “cronache di un paese provvisorio” ed è una radiografia, leggera ma spietata del nostro paese all'esordio del terzo millennio, una Italia in cui partiti, squadre di calcio, discoteche e vita culturale si amalgamo assieme all'insegna di una più che partenopea, precaria, provvisorietà. Con “Quel gran pezzo dell'Emilia”, Berselli invece dipinge noi padani-emiliani, se stesso e la sua terra, così ricca di contraddizioni: comunista e rossa, sì, ma anche rossa di Ferrari milionarie, grassa di cucina cotechina e bacchettona, musicale quel tanto che basta, purché sia sempre e comunque festa. La capacità di guardare con occhio disincantato al di là delle quotidiane tragedie di un paese dilaniato dalla corruzione politica, dalla criminalità organizzata e dal dissesto idrogeologico, la voglia di sorridere anche di fronte al malcostume dilagante, gli dà lo spunto per scrivere anche “L'Italia, nonostante tutto” e una lunga serie di articoli che gli attirano qualche antipatia (come non potrebbe essere così), ma anche larghi consensi.

Alla sua morte nasce l'associazione amici di Edmondo Berselli grazie ad una impressionante e significativa sequela di nomi di spicco del mondo politico, artistico, culturale e giornalistico nazionale: Renzo Arbore, Antonio Calabrò, Luca Cordero di Montezemolo, Gad Lerner, Sergio Zavoli, il cantante Shel Shapiro, Romano Prodi (scusate l'accostamento irriverente, ma significativo tra questi due ultimi personaggi), sono solo alcune delle firme in calce all’atto costitutivo dell’associazione.

Sei anni dopo la morte, il ricordo di Edmondo Berselli è tenuto alto anche da questa associazione che organizza ogni anno una manifestazione a lui intitolata. "Quel gran genio del mio amico", dedicata alle idee ed alle riflessioni di Berselli anche attraverso uno spettacolo di parole e musiche, ha fatto il tutto esaurito al Forum Monzani. Quest'anno poi è stato anche pubblicato un libro su di lui, opera di Marco Ciriello (“Il più maldestro dei tiri”) ispirato a "Il più mancino dei tiri", opera prima di Edmondo Berselli, datata 1995. Da quest’anno, con la dedicazione della biblioteca civica di Campogalliano, Berselli avrà un riconoscimento postumo in più

 

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Per comprendere meglio il pensiero e lo stile di Edmondo Berselli, forse è necessario leggerne qualche brano. Ne riportiamo due, tratti da la Repubblica, rispettivamente del 20 e del 27 marzo 2010, in cui se la prende con Silvio Berlusconi. Sono gli ultimi due pubblicati prima della scomparsa.

CHI HA PAURA DELL’URLATORE

Al posto di un talk show in cui tutti urlano sguaiatamente, chiameremo uno dei vecchi urlatori, anzi, il primo degli urlatori, quello che sconvolse gli italiani fra la fine degli anni ‘ 50 e l’ inizio dei ‘ 60, e lo inseriremo nel programma shock di Michele Santoro da Bologna, quello con tutte le star della televisione parlata. Vince l’ urlo dell’urlatore o il parlatore? Ma non bisogna mai sottovalutare Adriano Celentano: dalla Rai gli hanno chiesto le scalette dei suoi interventi, come se a Celentano si potessero chiedere le scalette con tre settimane di anticipo. Ma no, il Molleggiato è un improvvisatore, non gli si può chiedere lo schema del suo intervento con pochi giorni di anticipo. Ha bisogno di mesi o di anni. È a questo punto che le strutture della Rai hanno cominciato a vacillare. D’altronde, c’ è un segreto di Pulcinella che va conservato con ogni segretezza, davanti all’immenso pubblico della Rai. Guardate bene Berlusconi. Le fattezze, i gesti, la calvizie. Come confessò Gianni Agnelli a Luca Cordero di Montezemolo dopo che Berlusconi disse di ispirarsi all’Avvocato: «Luca, quello non assomiglia a Celentano, quello è Celentano». Ecco, chiamare a Bologna l’originale di Berlusconi anziché la copia, questo sì sarebbe stato una rottura delle regole, e la Rai, naturalmente, si adegua.

I GOL DEL PICCOLO SILVIO

«Non modenesus erit cui non fantastica testa», scriveva nel Cinquecento Teofilo Folengo, alias Merlin Cocai, l’autore del “Baldus”. Nessun modenese senza una testa piena di grilli. E conta poco che il modenese sia di origine ghanese, e abbia chiamato il figlio Silvio Berlusconi. Aggiungendo come cognome il suo, Bohaene. Misteri della politica, e della vita modenese. Il piccolo Silvio Berlusconi Bohaene gioca a calcio e non disturba; il padre canta e fa concerti, oltre che lavorare come operaio metalmeccanico; entrambi sono stati assaliti dalla stampa. Il papà ghanese ha dichiarato una certa simpatia politica per il premier, dichiarando che gli piace come parla. È’ la leggera follia dei genitori, quando non si rendono conto di marchiare i figli per tutta la vita. «Scusa, come ti chiami» – «Silvio Berlusconi Bohaene». Accidenti. Nel frattempo il piccolo calciatore è diventato una star, aspetta con fiducia una telefonata dal capo del governo, insomma, la sua vita è cambiata. Sembra di vedere la carriera del pedatore Mariga, di recente assunto dall’Inter, un bravo keniano che di nome fa, incredibilmente MacDonald. MacDonald, capito? Immaginate voi che cosa significa avere un figlio con quel nome, con la puzza di fritto addosso. E i genitori che glielo affibbiano: gol.

 

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