Jacopo Berengario da Carpi, principe della anatomia
Non se ne conosce con precisione l’anno di nascita, forse il 1460 o il 1466. Tanto meno la fisionomia, affidata a un unico ritratto eseguito due secoli dopo e dove appare vecchio, con una lunga barba e i capelli bianchi, il volto decisamente corrucciato. Di carattere viene ricordato come brillante e affascinante, ma anche irascibile, facile alle risse e perfino violento. In politica non aveva peli sulla lingua, tant’è che dichiarò pubblicamente che avrebbe preferito essere sotto “uno zudeo, uno turco et uno asino o uno porcaro”, piuttosto che sotto il governo del Duca di Ferrara, beccandosi una multa, sfiorando l’amputazione delle narici e subendo l’allontanamento dalla città. Anche se poi ci lavorerà, al servizio del duca Alfonso I d’Este, finendo i propri giorni forse il 24 novembre 1530, proprio a Ferrara, dove è sepolto.
Di cognome faceva Barigazzi, ma glielo storpiarono in Berengario e lui vi si adattò, diventando Jacopo Berengario da Carpi. E con questo nome è entrato nella storia, in particolare quella della medicina, insieme alla città che gli ha dato i natali. Ha preceduto con i suoi studi anatomici e di medicina l’Andrea Vesalio, autore del primo vero trattato di anatomia comparata, pubblicato a Basilea nel 1543. Ha introdotto il mercurio per la cura della sifilide. È stato lo scopritore di parti anatomiche sconosciute fino ad allora come il timo, l’appendice, gli ossicini auricolari, le valvole cardiache, i rapporti tra vena cava e vena porta. E ha descritto correttamente l’anatomia dell’organo riproduttivo femminile, rimasta confinata fino a quel momento alla nozione di “rete mirabile” fissata da Galeno, tenuta in grande considerazione dai medici, ma che lui ebbe la sfrontatezza di dire chiaro e tondo di non averla mai vista, quella rete.