Loschi e il dialetto degli accenti

Il formato è lo stesso, identica la confezione in brossura con lussuosa copertina cartonata e traslucida. E identica è anche la materia: un dizionario del dialetto carpigiano. Cambia, certamente il numero delle pagine, ma che cos’è che fa davvero la differenza tra l’imponente lavoro filologico compiuto sul vernacolo cittadino da Massimo Loschi (“Dizionario Dèscòrèr Càrpšan”, Carpi 2016, 474 pagine) edito in questi giorni e il “Dizionario del dialetto carpigiano” apparso nel 2011 a cura di Anna Maria Ori e Graziano Malagoli? Nessun dubbio: gli accenti. Onnipresenti, strabordanti, perfino invasivi e dilaganti nell’opera di Loschi, quanto limitati all’essenziale nella pubblicazione di cinque anni fa.

Il fatto è che proprio il nome di Massimo Loschi compare in quel precedente: “Nella revisione finale – gli riconosceva infatti nella propria prefazione lo stesso Malagoli – ci siamo affidati alla puntuale e attenta verifica del coordinatore del gruppo carpigiano Al filòos, Massimo Loschi”. Ma allora che cosa potrebbe aver indotto lo stesso Loschi, dopo essere stato chiamato a compierne la revisione finale, a prendere le distanze da quel primo “Dizionario”, al punto da sobbarcarsi la nuova, gigantesca fatica?

La risposta è sempre la stessa: gli accenti.

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