Il bilancio 2016 della Fondazione

Quel difficile equilibrio tra tutela del patrimonio e richieste dal territorio

Non tutto è oro ciò che luccica ma il bilancio 2016 della Fondazione Cassa di Risparmio di Carpi, ancora una volta, si presenta con l’abbagliante splendore dei suoi 3 milioni e 195 mila euro di “avanzo” d’esercizio (erano stati 4,5 milioni l’esercizio precedente) che consentirà, utilizzando anche questa volta il fondo stabilizzazione erogazioni, di finanziare opere, iniziative e progetti sul territorio per quasi quattro milioni e mezzo di euro, in linea con la programmazione triennale e con un incremento sul 2015 del 7 per cento. Sul tavolo ci sono grandi interventi come quello sul torrione degli spagnoli di Palazzo Pio, progetti pluriennali e il sostegno a enti partecipati, come per esempio la Fondazione Campori di Soliera e, da quest’anno, anche la Fondazione ex campo di concentramento di Fossoli. Superati gli anni terribili delle svalutazioni patrimoniali (il 2014 e il 2015 hanno visto decurtarsi il patrimonio della Fondazione da oltre 321 milioni agli attuali 286 milioni di euro) il presidente Schena e il suo consiglio di amministrazione hanno avuto modo di guardare con maggiore serenità alla gestione corrente e alla programmazione di quella futura. Risultato: 4,3 milioni di dividenti e proventi assimilati conseguiti nel 2016 contro i 2,3 dell’esercizio precedente, che controbilanciano un calo di un milione di euro negli interessi percepiti nel periodo, a causa dei bassi tassi praticati sul mercato. Il tutto accompagnato da un ulteriore sforzo nel ridurre i costi di gestione dell’ente che appare fra i più virtuosi in questo campo. Sul versante patrimoniale si registra un forte aumento delle immobilizzazioni finanziarie (+ 34 milioni) che rappresentano investimenti strategici effettuati con Banca d’Italia e con Cassa Depositi e Prestiti, mentre risultano ancora in parte da “richiamare” ma sono già stati appostati fra i debiti, diversi milioni di euro che la Fondazione ha messo a disposizione del famoso Fondo Atlante che nelle intenzioni dovrebbe gestire i NPL (non performing load-crediti inesigibili) del sistema bancario e il cui futuro permane nebuloso. Come si diceva, far risaltare i buoni risultati del lavoro svolto non significa che tutto vada per il meglio: la Fondazione, che lo scorso anno aveva drasticamente  ridotto il suo capitale svalutando alcune poste finanziarie dell’attivo, aveva anche ridotto il rischio potenziale di quelle perdite passando da quasi 40 milioni a “soli” 8 milioni. Purtroppo, proprio per poter incassare dividendi e fare cassa, la Fondazione ha ritenuto di dover riacquistare (a valori decisamente più contenuti) quegli stessi titoli che aveva dismesso (in particolare Unicredit e BPM ex Banco Popolare) facendo ritornare il rischio potenziale di minusvalenze a 20 milioni di euro (“Ridotto attualmente a circa 18 milioni”, si è premurato di precisare Giuseppe Schena nella sua relazione). Bisogna ammettere che il lavoro della Fondazione, in bilico fra il bisogno primario di salvaguardare il suo patrimonio e quello di conseguire in ogni caso soldi da spendere per le erogazioni di cui il territorio ha un bisogno disperato, non è facile. Forse anche per questo Schena ha accennato alla necessità da parte dell’ente di rafforzare la sua struttura di gestione del patrimonio. Con l’avvertenza, ribadita a chiare lettere dal vescovo Cavina e, in modo più sfumato e bonario, dal sindaco Bellelli, che la “finanza” non è lo scopo primario della Fondazione, bensì il sostegno “del territorio” (Cavina) o “dell’economia” (Bellelli). Più precisamente monsignor Cavina ha sottolineato che; “Il patrimonio affidato alla Fondazione è del territorio e al territorio e al suo bene, non solo materiale, deve corrispondere, in modo giusto ed ispirato”.

f.s.

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