Pozzi (Opas) al Sole 24 Ore: le misure per la peste suina rischiano di bloccare per anni l'export di salumi fuori dalla Ue

In un'intervista al Sole 24 Ore di ieri, Valerio Pozzi, direttore generale di Opas, il più grande stabilimento di macellazione in Italia, lancia un grido d'allarme: pur non avendo neppure un allevamento contaminato, basta il ritrovamento della carcassa di un cinghiale perché in tutta la zona vengano istituite zone di sorveglianza e restrizione sanitaria che bloccano le attività, impattano a cascata sull'intera filiera suinicola e finiscono per bloccare per anni l'export di salumi sui mercato extraeuropei. Ma se, aggiunge Pozzi nell'intervista, se la carcassa venisse trovata a Langhirano, anziché sulle alture dell'Appennino scoppierebbe un autentico dramma economico e sociale del quale la politica non sembra rendersi conto. In Opas, tuttavia, la situazione è tutt'altro che drammatica, precisa ancora il manager. Nessun ungulato infetto è stato trovato nei territori dove sono insediati i soci allevatori, ma sarebbe sufficiente una carcassa positiva trovata nelle vicinanze per creare il quadro tragico prima accennato. segue

Il Direttore passa poi ai numeri di Opas, che copre il 12 per cento della produzione suinicola nazionale: 1,1 milioni di suini lavorati sui 9 milioni macellati in Italia, per il 99 per cento destinati alle Dop, il 18 per cento delle cosce certificate che diventano prosciutto di San Daniele e il 14 per cento prosciutto di Parma, 600 addetti e un fatturato 2023 di 470 milioni. “Siamo il crocevia della filiera italiana della salumeria”, sottolinea ancora Pozzi, in un settore, cioè che esporta per 50 miliardi per cui un allarme come quello della peste suina rappresenta un gigantesco danno di immagine e solo Canada e Stati Uniti non hanno bloccato le importazioni, avendo capito che il problema della peste è regionalizzato. Quali soluzioni propone? gli chiede l'intervistatrice Ilaria Visentini. Abbattere i cinghiali e costruire opere di contenimento per evitare che si spostino diffondendo il virus, è la risposta di Pozzi. Che ricorda come nel resto d'Europa, per il primo rimedio si è fatto molto di più, mettendo in campo l'esercito. Un cinghiale morto fuori da un allevamento, aggiunge Pozzi, significa il blocco dell'intera zona nel raggio di 15 chilometri, da dove non può uscire nulla anche se è stato dimostrato che la peste suina africana non fa nulla al consumatore. Debbono poi passare due anni prima di poter riabilitare le importazioni dall'Italia e altri due per tutto l'iter di riqualificazione. Un mercato come quello cinese, che valeva 25 milioni di fatturato per Opas, si è chiuso al nostro export, mentre vi prende spazio la concorrenza tedesca, spagnola e danese vanificando lavoro e investimenti di anni, portati avanti come filiera suinicola del Made in Italy.   

 

L'intervista è apparsa nel contesto di un ampio servizio dedicato dal quotidiano al calo dei prezzi dei salumi italiani, da quando, nel gennaio 2022, è apparsa in Italia la peste suina africana che colpisce in prevalenza i cinghiali selvatici, non si trasmette all'uomo, ma può infettare i maiali domestici.